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domenica 16 gennaio 2011

Filufilà Stdschhhhhhhhhh Tum tum tum tum

Al mio paese c'è la banda. Ch'io sappia c'è da sempre, cioè almeno da quando ci sono io. Il Corpo Musicale Giuseppe Verdi di Sant'Omobono Terme. Adesso la banda è un lusso e un bel momento di ritrovo e di musica. Una volta era diverso. Intanto una volta quasi ogni paese aveva la banda. C'era quella di Cepino, poi quella di Locatello, quella di Berbenno. E per un paese come quelli di dove sono io la banda era una questione d'orgoglio e di emancipazione. Era un pò il biglietto da visita culturale per i foresti. Tanta musica, tanta cultura. E si facevano a gara tra loro le bande, a chi suonava meglio, che poi è come dire a chi trombava di più. Nel senso della tromba, ovviamente. E quelli che suonavano nella banda avevano tutti una marcia avanti. Perchè loro indossava una divisa, e sapeva leggere almeno su un rigo. Se senti parlare oggi qualcuno che suonava e poi ha smesso perchè e percome, bè, tutto questo lo percepisci. Come se ti capita di parlare con lo Zefirino, che suonava il trombone, ma non se la cavava malaccio pure con il bombardino. Cos'è il bombardino? Il flicorno no? E flicorno baritono. Quando te lo dice sembra che ti sveli un segreto iniziatico, e scandisce "B A R I T O N O". E io faccio finta di aver scoperto una cosa strepitosa, che un flicorno possa essere un baritono. E lui è felice. Il punto è uno: cosa cazzo è un flicorno? No appunto. E' tipo un corno, o una tuba. Insomma, è un tromba un pò più grossa di una tromba. Un tromboide. Sempre nel senso della tromba, ovviamente.
E Zefirino ogni tanto mi racconta certe storie della banda. Come quella del Cornelio Löegia. Insomma, quelli che suonava da tempo nella banda lo facevano con una certa scioltezza. Vietato farsi vedere concentrati. Se ti mostri concentrato fai figuraccia, è da pivellini, è come l'ultimo arrivato che suona il piffero e vuol far vedere al maestro che è bravo. Da noi, se si sa far qualcosa, non è che non si tiene a farsi notare. Anzi. Ma se uno vuol farsi notare la sua strategia sta nell'apparenza del non farsi notare. Cioè nel farsi notare ma farsi notare in modo che non sembra egli si voglia far notare. Perchè farsi notare è fare il dippiù. "El se fà et!" (si fa vedere!). Noi si dice "fare il bölo". Che non è il bullo, è più che tutto lo sborone. Nel senso del trombone. Sì, siamo un pò complicati.
Insomma il veterano della banda attuava questa strategia rustega. La cosa migliore era allora suonare ma come se fosse l'ultimo dei pensieri. Quasi con sufficienza, come se toccasse. "Son qua và, và che suono". E ognuno aveva il suo stile. Nel mentre della banda, il Cornelio col suo vicino di piffero spesso parlava di cani. Da caccia. Che il suo era un fenomeno. Sì sì, cane da ferma. Mai visto un cane così. E quella volta... e tacava a raccontare. Poi però la banda doveva partire. E allora via dietro. Filufilàfffilàlllàlllààààà filufilàffilàffilàffilààààà. Suonava il clarino lui. Ci fu una volta che tacò a suonare ma tutti lo guardava male. La processione aveva troncato sul nascere un'animata discussione sul forcello ed erano partiti come una schioppettata dietro al santo. Processione con la statua e il vescovo e i preti e tutta la gente. Ostia suonava tutto storto "Ma coss'è, ma com'ìla, ma se ma no ma" e il vicino di piffero, che evidentemente la sapeva più lunga "Cristo ma edet mìa che te ghet i foi al contrare??" (ma non vedi che hai lo spartito al contrario??) "Aaaaa 'm parìa a me, a'm parìa osti!" (Aaaaaa mi sembrava mi sembrava!) Filufilàfffilàlllàlllààààà.

Un'altra volta erano a Berbenno. C'era il rientro degli emigranti e si faceva il gemellaggio con la banda svizzera. C'era tutti, quelli locali e quelli svizzeri, che si era tutti amici e ci sarebbe stata la messa, poi il concerto e poi tutti all'osteria a mangiare e bere. E si sa, se c'è foresti è bene far vedere che loro è foresti e noi del posto. E che noi si sta al passo coi tempi, che la valle non è mica un posto di quelli che abitano sui monti e non conoscono il mondo. Tutti a prenderci per dei montanari buzzurri retrogradi orsi scorbutici 'sti svizzer del'ostia!  Sano orgoglio valligiano guidò il lieto congresso. E si sa, c'è chi stempera meglio e chi meno. Chi dissimula, chi somatizza, chi sbotta, chi beve ed è tutti amici.
Il Mario detto "Plècia", fratello dell'Onore, quello dell'acqua, suonava i piatti. Ci dava di quelle sverghe da far sbiellare i timpani all'uditorio nel raggio di 100 metri. Stdschhhhhhhhhh!!! Caratterialmente il Mario era uno piuttosto nervoso. Di quelli eh eh eh dai dai dai valà valà valà! E balbettava. Smilzo, nerboruto e spinoso come un cornale, c'era poco da raccontargliela.  Fatto sta che si presentò al mattino in piazza tirato a lucido e teso come un archetto da bracconiere. E mentre tutti si preparava, montava tromboni e clarini, districava spartiti e ciacolava, lui era già là impaziente in piedi coi piatti in mano che vibravano nelle mani vibranti.
Pioveva di maledetto. C'era italiani tutti a destra e svizzeri tutti a sinistra. E il maestro in mezzo, a prenderla, ch'è più epico. In onore agli ospiti, dirigeva il maestro svizzero. Che era poi uno di Costa strapiantato là. Però ci aveva la erre moscia dell'emigrante adesso. E con la erre moscia anche un algido puzzo sotto il naso di quello che aveva oltrepassato gli Almenno e fatto fortuna in terre estere. "El laùra ala Scio 'ffon!" (lavora alla Chaux-de-Fonds) dicevano. E lui ora guardava il lieto gruppo trombaro con l'aria soddisfatta e deferente del condottiero che è appena tornato vincitore dalla lunga conquista.
Chi suona o canta in coro lo sa, prima di affiatarsi con un nuovo direttore ce ne vuole. Cambia un sacco di cose, il muso, il carattere, il senso, lo sguardo, le mosse, il gesto. Il gesto.
Ora lo svizzero attaccava prendendo un primo lento respiro d'ispirazione, completato da un secondo più deciso che preludiava in una brevissima frazione di secondo al vero e proprio attacco. Era un avvio in tripletta che i suoi conosceva bene. No i valligiani però. No tutti almeno, quelli che non aveva avuto il tempo di provare prima. Col fieno da fare ostia! I se 'ncule pò a i svizzer, come 'n suna 'n suna! (s'inculino, come viene viene!) Era il lieto congresso estivo degli emigranti.
Il Mario, manco a dirlo era tra questi. Ed ora era lì teso come un bacchetto da bracconiere mentre la martora sta infilando la testa nell'asola del cappio.
In apertura, solenne, Inno svizzero.
Il maestro della Scioffon raccolse il suo primo respiro, lungo, ispirato, fraterno. Caricò dentrò di sè tutta la potenza da infondere ai musici. Sul terminare della prima fase d'inspirazione preparò il secondo più deciso respiro preludiante eeee
STDSCHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!
L'archetto era scattato. La martora era scappata. Il Mario aveva frainteso l'attacco. Il maestro svizzero aveva interrotto il coito. Paonazzo, lo fulminò all'istante: Fesso!!

Un'altra volta erano in Fuipiano. Agosto, festa della Madonna. Fuipiano è il tetto della Valle Imagna ma all'afa di questo non gliene fregava niente e s'era arrampicata fin lassù. La processione era dopo la messa e bisognava stare a crepare là dentro mentre il don Amadio tuonava dal pulpito le virtù della Madonna contro le sottane peccaminose delle villiche? Ma no, fuori i musici, sotto le volte del porticato a prendere il fresco e ciacolare, con la gente pressata in chiesa come le sarde e come le sarde madida di unto gocciolante, le porte spalancate per far corrente e l'incenso a deodorare ogni ora pro nobis.
Gli strumenti era poggiati un pò come veniva, sul lastricato, sul prato, sul muretto. Sul muretto. La gran cassa lì in bilico con mazze accanto. Ciacola e gesticola e grigna in silenzio e picchiaci dentro. Le mazze rotola giù dal prato. Che a Fuipiano c'è più forza di gravità che in altre parti. Tutto è inclinato. Figuriamoci il prato.
E rotola rotola le mazze e vaca'mpestada ve fò la madona! Rincorrerle? Macchè. Pronti i riflessi, il gran cassiere non ci pensa su due volte. Piedi nudi, scarpe in mano, via col tempo! Tum tum tum tum tum tum